venerdì 18 settembre 2009

Che ne sarà dei cristiani di Terra Santa?

L’altro giorno l’agenzia ZENIT ha riferito del discorso pronunciato dal Patriarca latino di Gerusalemme (a proposito: come mai i Patriarchi latini di Gerusalemme non diventano mai Cardinali? La Chiesa-madre della cristianità non merita forse una porpora?), Mons. Fouad Twal, l’8 settembre scorso a Londra nella Cattedrale di Westminster. Non mi pare che tale intervento abbia avuto la risonanza che avrebbe meritato. Pertanto mi permetto di farvi eco, nel mio piccolo, perché non voglio, come ho già ripetuto altre volte, che qualcuno possa dire un giorno: “Non sapevamo...”.

Il Patriarca ha, innanzi tutto, lanciato un grido di allarme circa il futuro della Chiesa in Terra Santa:


«Il Patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ha avvertito che il futuro della Chiesa in Terra Santa è a rischio. Per questo motivo, ha chiesto ai cristiani di tutto il mondo di unire i propri sforzi per aiutare i fedeli della terra di Gesú.

[...] Il Patriarca ha sottolineato che l’emigrazione ha ridotto drasticamente il numero dei cristiani sia in Israele che in Palestina. Secondo il presule, ricorda l’associazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), che ha organizzato l’incontro londinese, si pensa che i fedeli di Gerusalemme diminuiranno dai 10.000 attuali a poco piú di 5.000 nel 2016. In tutta la Terra Santa, ha aggiunto, i cristiani sono scesi dal 10 al 2% in 60 anni, anche se altre prove mostrano che il declino potrebbe essere superiore».


Si noti che “in 60 anni” significa: “dalla creazione dello Stato di Israele” (1948). Se le statistiche hanno un senso, le conclusioni dovrebbero essere ovvie.

Mons. Twal ha quindi descritto la reale situazione dei cristiani e delle altre minoranze in Terra Santa:


«Il Patriarca ha confessato che fino ad ora il pellegrinaggio svolto da Benedetto XVI in Terra Santa a maggio non ha portato a una minore oppressione delle minoranze e che “la continua discriminazione in Israele minaccia sia i cristiani che i musulmani”.

“Tra la limitazione degli spostamenti e la noncuranza per le necessità abitative, le tasse e la violazione dei diritti di residenza, i cristiani palestinesi non sanno da che parte voltarsi”.

Il Patriarca Twal ha condannato in particolare il muro eretto da Israele intorno alla West Bank, affermando che oltre a ostacolare la libertà di movimento “ha chiuso molti palestinesi in zone-ghetto in cui l’accesso al lavoro, all’assistenza medica, all’istruzione e ad altri servizi di base è stato gravemente compromesso”.

“Abbiamo una nuova generazione di cristiani che non può visitare i Luoghi Santi della sua fede anche se distano solo pochi chilometri dal luogo in cui risiede”, ha denunciato. [...]

Nei Territori Occupati, ha aggiunto, la gente “è completamente alla mercé dell’Esercito israeliano, e al momento la Striscia di Gaza vive sotto un assedio imposto da Israele, che ha provocato una drammatica crisi umanitaria”».


C’era qualcuno che si era illuso che la visita del Papa in Terra Santa avrebbe cambiato qualcosa? Basta vedere che cosa stanno facendo in questi giorni gli israeliani con gli insediamenti: bloccarli — ha detto Netanyahu — sarebbe contro la pace!!!

Mons. Twal ha infine fatto una amara riflessione che tutti faremmo bene a fare insieme con lui:


«Se in 61 anni non siamo riusciti a ottenere la pace, vuol dire che i metodi che abbiamo usato erano sbagliati».


Penso proprio che il Patriarca abbia ragione: i metodi finora usati — non solo dai poveri cristiani di Terra Santa, ma dalla Chiesa intera e dalla fantomatica “comunità internazionale” — erano sbagliati. Che significa? Significa che bisogna cambiare politica nei confronti dello Stato di Israele. Non è possibile continuare a seguire una politica di formale “equidistanza”, che di fatto si risolve in un sostegno incondizionato per Israele a danno dei palestinesi. Non è possibile continuare a riaffermare il “sacrosanto diritto di Israele all’esistenza” e il (non altrettanto sacrosanto) “diritto dei palestinesi ad avere un loro Stato”. Sono chiacchiere. È giunta l’ora di prendere una posizione netta a favore degli oppressi contro l’oppressore. Anche perché Israele approfitta della timidezza della Chiesa e della comunità internazionale (che tiene sotto ricatto con l’arma dell’antisemitismo) per fare i propri comodi.

Personalmente sono convinto che, se tutti avessero un po’ piú di coraggio, Israele non potrebbe permettersi di fare quello che sta facendo. Ma — argomentano i pusillanimi — Israele è una potenza nucleare; potrebbe distruggerci tutti in un batter d’occhio. Per me, è solo un gigante dai piedi di argilla. Quando ero giovane, esisteva l’Unione Sovietica: sembrava una superpotenza invincibile, che terrorizzava i popoli con le sue armi. A Roma aspettavamo, da un giorno all’altro, che i cosacchi si accampassero in Piazza San Pietro. Li stiamo ancora aspettando. Dov’è finita nel frattempo l’Unione Sovietica? È finita nel nulla, dalla sera alla mattina. Prima o poi, se Israele continuerà con la sua politica criminale, farà la stessa fine; e i suoi abitanti se ne fuggiranno uno a uno all’estero, dove hanno una seconda cittadinanza. Il bello sarà, a quel punto, che tutti se ne laveranno le mani, e l'unica su cui ricadranno tutte le colpe sarà, come al solito, la Chiesa cattolica, che verrà accusata di aver sostenuto il regime israeliano. Quanto ci volete scommettere?