lunedì 18 ottobre 2010

De re liturgica

Lycopodium mi ha inviato il seguente messaggio:


«Mi piacerebbe conoscere il suo parere su quanto appresso:

1) TRADUZIONI. 
Io non sono tanto convinto dell’utilità di una nuova traduzione, che — oggi come oggi — si limiterebbe a utilizzare ideologicamente i diversi criteri di versione: si userebbe il “letterale”, dove c’è da snervare componenti non politicamente corrette (tipo il “quod pro vobis tradetur”, che cosí farebbe sparire la parola “sacrificio”), mentre userebbe l’“integrativo” o il “correttivo” per proporre traduzioni edulcorate (caso tipico: nella 3ª preghiera eucaristica) [veda il recente dibattito sul blog di padre Augé]. Io credo, poi, che sarebbe giusto non ripetere l’operazione verticistica che si è fatta col lezionario, che ci è stato tirato addosso senza poter protestare, tanto piú che non si tratta di uno sterile esercizio di democratismo, ma di esercitare il legittimo diritto/dovere dei christifideles...

2) ORIENTE
Cosa ne pensa di questa notizia? Allora non è vero che la storia è maestra di vita e si tenta, invece, compulsivamente di ripetere gli stessi errori degli altri?».


1. Per quanto riguarda il problema delle traduzioni, capisco la preoccupazione del lettore: il Messale attuale, almeno lo conosciamo; certo, conosciamo anche i suoi limiti; ma, tutto sommato, ci possiamo accontentare. Se ci si mette mano, non si sa che cosa può venir fuori… Il riferimento al nuovo Lezionario effettivamente fa riflettere, se non altro per le modalità con cui esso è stato pubblicato.

Devo aggiungere però, a proposito del Lezionario, che secondo me si dovrebbe distinguere fra il contenuto (la nuova versione CEI della Bibbia) e la forma (l’impostazione grafica). Per ciò che concerne il contenuto, rinvio ai miei post sulla traduzione della CEI. Mi sembra doveroso precisare però che, insieme ai limiti che ho cercato di evidenziare, non posso negare che tale traduzione ha anche dei meriti, che finora non ho messo in luce, soprattutto là dove essa si sforza di tradurre piú letteralmente il testo originale (mi riferisco soprattutto al testo greco del Nuovo Testamento). Come si sarà notato, le mie critiche sono rivolte soprattutto all’Antico Testamento (in particolar modo ai salmi).

Ciò che invece proprio non mi va, del nuovo Lezionario, è la sua grafica, che mi sembra un passo indietro rispetto all’edizione precedente, a cominciare dal carattere usato. Del tutto inutili e, soprattutto, fastidiose, le tavole (artistiche?) che sono state inserite. Qualcuno critica anche i ritornelli dei salmi, il piú delle volte lunghi e difficili da ricordare. Ma ciò dipende da uno dei criteri adottati nelle nuove traduzioni liturgiche, quello della fedeltà all’originale latino. Spero che con il tempo riusciremo a farci l’orecchio e a memorizzarli.

Se passiamo poi al Messale, la traduzione, secondo i criteri dell’istruzione Liturgiam authenticam, della terza edizione del Missale Romanum, non è una questione di gusti; è semplicemente un atto dovuto. La mancata traduzione mi sembra una gravissima inadempienza, per la quale non riesco a trovare giustificazioni. Se ci sono, sarebbe bene che venissero rese pubbliche. 

La terza edizione del Messale latino si distingue, positivamente, dalla precedente (del 1975) in numerosi punti, certo non sostanziali, ma che possono contribuire notevolmente a un miglioramento della celebrazione. È giusto quindi che sacerdoti e fedeli, dopo dieci anni dalla sua pubblicazione, possano usufruirne. Quanto alla traduzione, di per sé, la maggior parte dei testi potrebbero rimanere immutati, dal momento che nell’originale tali sono rimasti. Ma nel frattempo, e precisamente nel 2001, è stata pubblicata l’istruzione Liturgiam authenticam, che detta nuovi criteri di traduzione, che non erano ancora in vigore negli anni Settanta-Ottanta, quando furono approntate le traduzioni della prima e della seconda edizione. Piú recentemente poi è stata resa nota la lettera del Card. Arinze sulla traduzione letterale da darsi all’espressione “pro multis” nelle parole della consacrazione.

Che ci sia il rischio di un peggioramento dell’attuale traduzione, certo non lo si può escludere a priori (al peggio non c’è fine…). Ma, in linea di principio, direi che in questo campo oggi viviamo in un momento piú favorevole rispetto a quaranta anni fa. Stanno a dimostrarlo le due traduzioni del Messale in inglese, la prima e quella in procinto di entrare in vigore. Beh, non c’è confronto. È vero che è stato un lavoro immane, in certi casi una vera e propria lotta (alcuni, ancora oggi, ad approvazione avvenuta, continuano a combatterla); ma alla fine, grazie alla determinazione, in questo caso dobbiamo dirlo, della Santa Sede, ci si è arrivati. Perché non dovrebbe essere possibile arrivare a un risultato altrettanto soddisfacente in Italia (dove la cosa sarebbe, per vari fattori, di gran lunga meno laboriosa)?


2. Quanto alla, diciamo cosí, “esportazione” della riforma liturgica in Oriente, per assoluta incompetenza in materia, preferisco non pronunciarmi. In generale, penso che sia opportuno non “ideologizzare”, né dall’una né dall’altra parte, il problema. Quando si parla di riforma liturgica (ma lo stesso discorso vale per qualsiasi cosa), non possiamo essere a favore o contro per partito preso. Se è necessaria una riforma liturgica, ben venga; se non lo è, inutile porre il problema. Siccome io non so se i riti orientali abbiano bisogno di una riforma, preferisco astenermi da qualsiasi giudizio. 

Quanto alla storia magistra vitae, ciò non significa che, se in passato, nel tentativo di raggiungere un determinato obiettivo, abbiamo commesso degli errori, non dobbiamo piú perseguire quell’obiettivo per non ripetere gli stessi errori. Dobbiamo piuttosto fare tesoro dell’esperienza passata e perseguire il medesimo obiettivo (se lo riteniamo degno di essere perseguito) cercando di evitare gli errori commessi.

Entrando nel merito, dirò solo che mi pare strano che si discuta di tradurre tali liturgie nelle lingue volgari (in particolare l’arabo), perché, a quanto ne so, ciò già avviene attualmente. Aggiungerò inoltre che, in qualche caso, mi sembra che una “riforma” si renda effettivamente necessaria. Mi riferisco al rito siro-malabarese, sul quale sono informato un tantino di piú. Tale rito, siccome era praticamente scomparso, lo si sta in qualche modo “ricostruendo” ai nostri giorni. Il problema è che ognuno fa quel che vuole; gli stessi Vescovi sono divisi tra loro, avendo posizioni profondamente divergenti in materia. Penso che, almeno in questo caso, si renda davvero necessario un intervento (di chi? della Chiesa sui juris, che non è ancora una Chiesa patriarcale, o della Santa Sede?) che riporti un po’ d’ordine.