venerdì 22 settembre 2017

Riforme e controriforme



L’altro giorno Edward Pentin, riferendo sul nuovo motu proprio Summa familiae cura (National Catholic Register, 19 settembre 2017), terminava il suo articolo con le seguenti parole:
Il Register è venuto a sapere, da fonte affidabile, che membri dell’episcopato tedesco sarebbero rimasti delusi dall’andatura della riforma di Francesco, e avrebbero esercitato pressioni sul Papa per accelerarla. Di qui il motu proprio odierno [Summa familiae cura] e Magnum principium, [il motu proprio] sulle traduzioni liturgiche pubblicato la settimana scorsa. Aspetto importante, si dice che siano preoccupati che le riforme non verranno revocate da un papa futuro, e perciò vorrebbero che esse siano, per quanto possibile, scolpite nella pietra (set in stone), magari per mezzo di una Costituzione apostolica.
A parte la rivelazione delle pressioni esercitate dall’episcopato tedesco sul Papa (cosa che, sinceramente, non meraviglia piú di tanto; si veda in proposito l’editoriale odierno di Riccardo Cascioli su La Nuova Bussola Quotidiana), trovo particolarmente interessante questa insistenza sull’irreversibilità delle riforme. Se ricordate, ne avevamo parlato nel post del 29 maggio scorso, dove facevamo riferimento a una confidenza fatta da Enzo Bianchi durante una conferenza di qualche giorno prima a Cagliari:

Un giorno gli [= al Papa] è stato chiesto in una situazione confidenziale: «Ma, Santità, porterà a termine tutte queste riforme che annuncia?». La sua risposta è stata: «Io non pretendo; voglio che si inizino processi, e voglio che quel tanto di cammino che facciamo insieme non si possa piú tornare indietro».
Ora invece Pentin rimanda alle affermazioni contenute in una intervista di Massimo Franco a Mons. Victor Manuel Fernandez (foto) di due anni prima (Corriere della sera, 10 maggio 2015:  qui). Conoscevo l’intervista, avendone parlato Sandro Magister, ma — confesso — non ricordavo queste battute:
Ultimamente si denota un certo affanno. Le cose procedono piú lentamente. La stessa riforma della Curia appare in bilico.
Il Papa va piano perché vuole essere sicuro che i cambiamenti incidano in profondità. La lentezza è necessaria per la loro efficacia. Sa che ci sono alcuni che sperano che col prossimo Papa tutto torni indietro. Se si va piano è piú difficile tornare indietro. Lui lo fa capire quando dice che “il tempo è superiore allo spazio”.
Quando Francesco dice che il suo sarà un papato breve non fa un favore ai suoi avversari?
Il Papa avrà le sue ragioni, perché sa bene il fatto suo. Avrà un obiettivo che noi non capiamo ancora. Bisogna sapere che lui punta a riforme irreversibili. Se un giorno intuisse che gli manca poco tempo, e che non ne ha abbastanza per fare quello che lo Spirito gli chiede, si può essere certi che accelererà. […]
Non teme che, su questo sfondo, dopo Francesco il suo papato venga archiviato?
No, indietro non si torna. Se e quando Francesco non fosse piú Papa, la sua eredità resta forte. Ad esempio, il Papa è convinto che quello che ha già scritto o detto non possa essere punito come un errore. Dunque, in futuro tutti potranno ripetere quelle cose senza la paura di ricevere sanzioni. E poi c’è la maggior parte del Popolo di Dio che con la sua sensibilità speciale non accetterà facilmente che si torni indietro in certe cose.
Ebbene, la lettura di questi testi mi porta a fare alcune riflessioni (prive di qualsiasi pretesa di sistematicità ed esaustività).

1. Non mi sembra molto coerente col principio “il tempo è superiore allo spazio” questa preoccupazione che si possa tornare indietro. Diceva Papa Francesco nell’intervista alla Civiltà Cattolica (n. 3918, 13 settembre 2013, p. 468):
Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza.
E in Evangelii gaudium, parlando appunto del principio “il tempo è superiore allo spazio”, scriveva:
Questo principio permette di lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione di risultati immediati … Dare priorità al tempo significa occuparsi di iniziare processi piú che di possedere spazi … Si tratta di privilegiare le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici. Senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci (n. 223).
E invece qui sembra proprio che ci sia tanta ansietà: a che serve fare delle riforme, se poi un altro Papa, in futuro, le potrà revocare? Se si fosse convinti della bontà delle proprie posizioni, non si dovrebbe temere che poi qualcuno le possa rimettere in discussione. Ciò che è buono, ciò che è vero, prima o poi riesce ad imporsi da sé; magari ci vorrà del tempo, ma non si può dubitare della vittoria finale. Quest’ansia è indice di insicurezza; significa che non si è veramente convinti del valore intrinseco di ciò che si propone. E poi, se si ha fiducia in Dio e nella sua provvidenza, ci si dovrebbe abbandonare a lui, senza troppe preoccupazioni per il futuro.

2. Meraviglia che chi sostiene con convinzione che tutto è fluido, instabile, mutevole, liquido, chieda poi che le riforme siano “scolpite nella pietra”, che è invece il simbolo della stabilità, dell’immutabilità, della rigidità, della fissità, della freddezza. Ma tant’è: quando a ispirarci è l’ideologia, siamo disposti anche a cadere in contraddizione, purché i nostri schemi prevalgano. Qui siamo esattamente agli antipodi del principio “il tempo è superiore allo spazio”: come abbiamo appena visto, è lo spazio che cerca di cristallizzare i processi iniziati dal tempo.

3. Onde evitare che le riforme possano essere successivamente revocate, ci si serve di strumenti che dovrebbero garantire loro la tanto auspicata irreversibilità: ricorso a documenti particolarmente autoritativi, modifica del Codice di diritto canonico, “rifondazione” di enti, ecc. Sia ben chiaro, tutti provvedimenti legittimi; ma sufficienti a garantire l’irreversibilità delle riforme? Nessuno di questi provvedimenti può legare le mani dei futuri pontefici, che continueranno a godere delle medesime prerogative dell’attuale, e che potranno perciò sovranamente decidere che cosa mantenere, che cosa ripristinare e che cosa ulteriormente rinnovare. Semmai, il decisionismo che si sta usando (e che non si era mai visto finora, neppure durante il pontificato di Giovanni Paolo II, che pure non passava per una persona titubante) potrebbe servire di esempio per i successori.

4. Il ricorso allo strumento del motu proprio, in sé assolutamente legittimo, appare in contrasto con la piú volte dichiarata volontà di collegialità, sinodalità, condivisione. A che serve ripetere certi principi, se poi, nella pratica, essi vengono sistematicamente contraddetti? Il motu proprio, di per sé, appare adattarsi piú a un modello dirigistico che non a un sistema collegiale.

5. Ma la cosa che piú colpisce, in questo fervore di riforme, è che finora non s’è visto nulla di veramente “nuovo”. Almeno per il momento, ci si è limitati a tornare su questioni che erano state già ampiamente dibattute e chiarite. A cosa sono serviti i due Sinodi, l’esortazione apostolica Amoris laetitia, e tutto ciò che ne è seguito, fino ad arrivare al nuovo Pontificio Istituto teologico per le scienze su matrimonio e famiglia, se non a rimettere in discussione quanto era stato già precedentemente definito? Si dirà: ma le situazioni cambiano. Certo; e proprio per questo la Chiesa ha sempre esercitato un discernimento sulle nuove realtà per offrire ai fedeli i criteri di giudizio per affrontarle. Ma non è questo che è stato fatto con gli ultimi interventi. Con questi ci si è limitati a riaprire il dibattito sulle questioni già risolte, senza fornire nuovi criteri per confrontarsi con le nuove situazioni, a parte un generico rinvio a un non meglio precisato “discernimento pastorale”. Ora si vorrebbe fare lo stesso con l’enciclica Humanae vitae. In campo liturgico si è tornati alla situazione precedente all’istruzione Liturgiam authenticam. Invece di andare avanti, si torna indietro. Piú che riforme, a me paiono tanto… controriforme.
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