mercoledì 6 dicembre 2017

Una nuova narrazione?



Il Professor Massimo Introvigne ha rilasciato nei giorni scorsi una lunga intervista alla rivista Formiche. È uno di quei casi strani in cui vorresti tanto che ciò che stai leggendo fosse vero, ma ti accorgi, con dispiacere, che non lo è.

L’intervista si muove in quella che è la narrativa ufficiale dell’attuale pontificato: «In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo linguaggio è differente». Le novità non vanno dunque cercate sul piano dei contenuti («I principi rimangono fermi»), ma solo su quello dello stile («comunicativo-pastorale»), del linguaggio, del tono («È cambiato il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale»), dell’atteggiamento («Quello che c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale»).

E già qui ci sarebbe qualcosa da ridire: si dà per scontato che Papa Francesco sia un grande comunicatore («sommo locutore»!), che riesce ad avere, al contrario dei suoi oppositori (che costituiscono solo «un’élite intellettuale») un contatto diretto con le masse («cerca di saltare le mediazioni, vuole rivolgersi ai fedeli direttamente»). Ma ne siamo cosí sicuri? Se tale rapporto immediato con la gente esistesse davvero, la piazza e la basilica di San Pietro dovrebbero essere sempre gremite (come lo erano al tempo dell’intellettuale Papa Benedetto), mentre appaiono sempre piú vuote.

Non è poi vero che vengono saltate le mediazioni; le mediazioni continuano a esserci (e non potrebbe essere altrimenti), sono solo diverse rispetto al passato: invece di servirsi dell’Osservatore Romano, Papa Bergoglio preferisce ricorrere a Repubblica. La scelta viene cosí motivata: «È piú importante avere una buona stampa su Repubblica o sulla Cnn che sui media cattolici». Questione di gusti. Ma non illudiamoci, per favore, che attraverso Repubblica il messaggio evangelico giungerà alle masse nella sua purezza.

«Cosí facendo si rischia il fraintendimento, la riduzione?Francesco sa di potere essere equivocato, con Scalfari e nelle interviste in aereo. È un rischio che corre quando insiste sulla necessità di avviare processi piú che occupare spazi». È vero che talvolta, forse sempre, per raggiungere un obiettivo, è necessario rischiare: chi non è disposto a correre mai alcun pericolo è inevitabilmente condannato all’immobilismo. Il problema è che qui non si capisce se il gioco valga la candela. Sembra quasi che tutti leggano Repubblica, e quindi, per raggiungerli, sia necessario servirsi di quello strumento di comunicazione. Solo che la premessa è sbagliata, perché, anche se è vero che i lettori di Repubblica sono piú numerosi di quelli dell’Osservatore Romano, non è vero che tutti leggono il quotidiano di Eugenio Scalfari. Inoltre, Repubblica, come qualsiasi altro quotidiano del resto, non è un giornale neutro, ma di parte. Sceglierlo come interlocutore privilegiato, pertanto, non significa semplicemente rivolgersi a un uditorio piú vasto; significa piuttosto fare una scelta di parte ed escludere a priori una larga fetta di potenziali destinatari che non si riconoscono in quella linea ideologica. Per carità, tutto assolutamente legittimo; ma da che mondo è mondo io ho sempre saputo (forse mi sono sbagliato; dovrò aggiornarmi) che un pastore non dovrebbe essere un uomo di parte, ma il padre di tutti…

Credo poi che ormai questa storia dell’equivoco e del fraintendimento possa essere pure archiviata. Papa Francesco, quando vuole, sa essere estremamente chiaro. Per esempio, riguardo ad Amoris laetitia, che di per sé è un documento (volutamente) ambiguo, Papa Francesco ha fatto chiaramente capire come essa vada interpretata: se qualcuno avesse ancora dei dubbi (o dei… dubia), vada a leggersi gli Acta Apostolicae Sedis dell’ottobre 2016.

C’è bisogno, a quanto pare, di una “narrazione differente”: emblematico l’aneddoto delle trecentomila prostitute minorenni filippine, con le quali «discettare di Concilio Vaticano II o di indissolubilità del matrimonio non serve». Non credo che ci sia mai stato nessuno che abbia avuto la pretesa di discutere di Concilio Vaticano II con le prostitute filippine (magari, se si dovesse presentare l’occasione, visto che si definiscono cattoliche, fare loro un po’ di catechismo non sarebbe una cattiva idea). Ma è proprio qui che ci troviamo davanti al grande equivoco dell’attuale congiuntura ecclesiale: preoccuparsi della dottrina è la vecchia “narrazione” che “non arriva”, e quindi va abbandonata per essere sostituita da una “narrazione nuova”, che sarebbe poi l’attenzione alle persone. Come se nella Chiesa che si preoccupava della dottrina non ci fosse attenzione alle persone e ai loro problemi. E come se nel nuovo corso, oltre all’attenzione alle persone (non poi cosí accentuata come ci si aspetterebbe), non ci fosse una nuova ortodossia, che ha rimpiazzato la vecchia. Eh sí, perché anche nella nuova Chiesa di retorica se ne fa tanta, a proposito dei temi che vanno per la maggiore (clima, ambiente, migranti, ecc.). Introvigne spiega il fenomeno cosí: «Attraverso quelle [questioni Papa Francesco] pensa di poter dialogare con un numero piú alto di persone, di avvicinarne di piú». Già, perché la gente non dorme la notte pensando al buco dell’ozono e al riscaldamento globale…

Lo stesso dicasi dell’ecumenismo. Non so se le prostitute filippine si appassionino al dialogo fra cattolici, protestanti e ortodossi; eppure quest’anno il centenario di Lutero sembra essere stato al centro dell’attenzione del Papa e di molti Vescovi. Non si tratta, in questo caso, di un «dibattito per circoli ristretti»? Ma il bello è che, dopo averci fatto una testa cosí per cinquant’anni sul Concilio, ora, tutto d’un tratto, ci vengono a dire che il dibattito sul Vaticano II è solo un passatempo per pochi sfaccendati che non sanno come occupare il tempo. Ma che dico, il Concilio? No, anche su Amoris laetitia sembrerebbe ormai chiuso il dibattito: fino a qualche tempo fa sembrava che la comunione ai divorziati risposati fosse la questione numero uno della Chiesa; ora, proibito parlarne; ciò che conta è «rivolgersi alle periferie».

Ma ciò che piú meraviglia è la granitica convinzione che, in questa nuova “narrazione”, i principi, quelli no, non cambieranno: «La Chiesa per stare ai grandi argomenti morali come aborto, eutanasia e matrimonio non cambierà posizione: “È impossibile”. Bergoglio, anche se poco raccontato, su quei temi è netto e in stretta continuità coi predecessori». Sarà. Anche se, poco dopo, il Professore si vede costretto ad ammettere che «la dottrina non cambia, ma si sviluppa». È il riconoscimento che, una volta che si incomincia a cambiare stile, linguaggio, tono e atteggiamento, è inevitabile che anche i contenuti, in un modo o nell’altro, ne risentano.

Con queste osservazioni non voglio dire che tutta l’intervista sia da buttare: ci sono passaggi pienamente condivisibili. Quelli dove il Professore fa il suo mestiere, il sociologo. Ha perfettamente ragione quando afferma che la frequenza alla Messa non dipende da questo o quel Papa: «Sono processi in atto da tempo, che continuano, con una costante, lieve diminuzione della partecipazione attiva». Anche se Introvigne non dovrebbe dimenticare che lui stesso fu tra i primi a parlare, nel 2013, di “effetto Francesco”. Cosí pure ha ragione quando sottolinea che il futuro della Chiesa non si gioca in Europa, ma in America Latina, Africa e Asia. Solo che non si vede tutta questa sintonia di Papa Bergoglio con le giovani Chiese. Anche in questo caso, il Professore è costretto ad ammettere che «l’episcopato africano è stato tra quelli piú conservatori al Sinodo sulla famiglia». Si direbbe che Papa Francesco abbia fatto sua piú la sensibilità delle Chiese dell’Europa del Nord che non quella delle Chiese del Sud del mondo.

Va dato atto a Introvigne di essere fondamentalmente onesto: riconosce con grande sincerità che ad allontanarlo dai vecchi amici hanno contribuito anche le sue vicende personali. Diciamo che gli è andata bene: tali vicende hanno coinciso con un cambio di rotta nella Chiesa cattolica. Per cui, a differenza dei suoi amici che un tempo difendevano il papato e oggi lo contestano, lui potrà dire di essere rimasto sempre fedele al Papa. Anche in questo caso però è costretto ad ammettere che, a sostenere sempre, senza se e senza ma, qualsiasi decisione pontificia, qualche volta si rischia di prendere una cantonata, di cui poi ci si deve pentire. I Papi non sono infallibili in ogni loro affermazione e atteggiamento. Un pizzico di sano spirito critico anche nei confronti dei Romani Pontefici non guasterebbe: Amicus Plato, sed magis amica veritas. 

Un’ultima annotazione. In questa accettazione globale e acritica dell’attuale pontificato, c’è un’eccezione, una sola: l’articolo della Civiltà cattolica di quest’estate (di cui anche noi ci siamo occupati qui) su fondamentalismo evangelicale e integralismo cattolico. Beh, l’irritazione di Introvigne per quell’articolo è abbastanza significativa: evidentemente, si è sentito colto sul vivo. I suoi trascorsi ideologici (Plinio Corrêa de Oliveira, TFP, Alleanza Cattolica) e le sue mai celate simpatie per il modello americano (tra l’altro, vive per lo piú a New York) fanno di lui un “teocon” che da quell’articolo non poteva non sentirsi in qualche modo toccato. A me interessa qui solo rilevare la debolezza di una posizione ideologica (quella catto-conservatrice, intendo), che si sta dimostrando incapace, in nome di una malintesa sottomissione al papato, di dare una lettura obiettiva dell’attuale situazione ecclesiale. 
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